Istituto

L’Istituto Comprensivo “Don L. Milani” di Aquileia nasce il 1° settembre 2012 e raggruppa ora 3 comuni della Bassa Friulana: Aquileia, Terzo di Aquileia e Fiumicello Villa Vicentina e gestisce complessivamente due scuole secondarie di I°, quattro Scuole Primarie e quattro Scuole per l’Infanzia.

L’istituto ha la sede a Fiumicello Villa Vicentina in via Duca d’Aosta 24.

LA SCUOLA ED IL SUO TERRITORIO
L’Istituto Comprensivo di Aquileia è un’istituzione scolastica autonoma che comprende le scuole del primo ciclo situate nei Comuni di Villa Vicentina, Fiumicello, Aquileia e Terzo d’Aquileia e cioè nel territorio della pianura sud-orientale del Friuli, quella porzione della Bassa Friulana delimitata a Nord dalla linea delle risorgive, a Sud dalla Laguna di Grado, ad Ovest dal Fiume Isonzo e ad Est dal fiume Aussa. Si tratta di un’area relativamente vasta e popolosa, che al 31/12/2015 poteva contare 12.580 abitanti, distribuiti su una Superficie Censuaria di 94,6 Kmq con una densità di 133 ab/kmq.
Di dimensioni modeste, tutti questi paesi hanno conosciuto negli ultimi 90 anni (dal censimento del 1921 a quello del 2011) un incremento demografico molto contenuto, che contrasta con l’incremento della popolazione della cittadina di Cervignano, che storicamente esercita una forte attrazione sullo spazio circostante. Ma se in assoluto gli abitanti dell’Agro Aquileiese in quasi un secolo sono aumentati solo del 38%, è la distribuzione della popolazione che si è largamente modificata.
Durante il periodo tra le due guerre, all’epoca delle grandi bonifiche mussoliniane infatti, la gente, non si concentrava nei capoluoghi, ma per effetto dell’antica vocazione rurale del paese viveva dispersa in borghi, frazioni e casali isolati nelle campagne, disseminati in un territorio piatto e monotono, diviso a scacchiera da una rete di canali e strade ortogonali che di fatto ricalcavano l’antica centuriazione romana. Il decollo economico registrato alla fine del secolo XX ha comportato un grande e spesso disordinato fervore edilizio, un’urbanizzazione diffusa del territorio, ed un’occupazione intensiva e qualche volta selvaggia dei grandi spazi liberi che si estendevano tra gli insediamenti rurali. Ad un paesaggio sostanzialmente agricolo, dove gli insediamenti sorgevano isolati, circoscritti e ben definiti, come isole galleggianti sulla distesa delle coltivazioni, è subentrato il tipico paesaggio delle periferie cittadine a vocazione residenziale, formato da una successione di villette e case circondate da orti e giardini, che si allargano a macchia d’olio ad occupare le campagne, sicché ora la vegetazione appare come frazionata, parcellizzata ed imprigionata in una colata di cemento; e lo spazio edificato si protende ormai senza soluzione di continuità da quella cittadina che è divenuta Cervignano fino a raggiungere ed inglobare con i suoi tentacoli i centri meridionali della piana in un unico conglomerato. E come è cambiato il paesaggio, così è cambiato lo stile di vita, che anch’esso si è notevolmente urbanizzato, nelle abitudini, nei consumi, nei valori. D’altronde è la società stessa che in questo estremo lembo della pianura friulana ha mutato radicalmente la sua fisionomia ed i suoi connotati. Originariamente questo era un territorio caratterizzato da un ecosistema umido e palustre, che quindi era stato interamente bonificato e reso disponibile alla pratica intensiva dell’agricoltura. Oggi questa realtà ha subito profondi cambiamenti. L’agricoltura non è più l’attività prevalente, ed accanto alle rare aziende rurali superstiti si sono sviluppati il turismo, l’artigianato, la piccola industria. Di conseguenza la società tradizionale, costituita da una massa di contadini e braccianti impiegati nelle grandi tenute padronali, ha mutato volto, si è rapidamente modernizzata, ed appare molto meno uniforme ed omogenea di un tempo, formata com’è da operai, impiegati, commercianti, piccoli imprenditori, liberi professionisti, e pochi contadini indipendenti che sempre più si presentano come imprenditori agricoli. La famiglia mononucleare, con un numero limitato di figli, ha sostituito l’antica famiglia patriarcale, il tasso di scolarizzazione ed istruzione si è molto elevato, l’analfabetismo è sparito, il benessere ha cancellato anche il ricordo della passata miseria, che aveva alimentato negli anni della ricostruzione le fiere lotte dei lavoratori della terra, come a prolungare l’epica della Resistenza. Nel corso di questa epopea si era formata tutta una generazione di militanti politici, e si erano creati i presupposti di quella partecipazione attiva, vivace, appassionata alla vita politica, culturale e sociale che ha caratterizzato a lungo la Bassa Friulana, enclave rossa e progressista in una regione attaccata alla tradizione e professante idee moderate e conservatrici. Ebbene, nel quadro di questa velocissima trasformazione l’antica identità si è smarrita, i solidi principi morali su cui si fondava la vita della comunità sono stati abbandonati senza essere spesso sostituiti da nuovi saldi valori di riferimento, che non fossero quelli del vacuo edonismo e del frivolo consumismo diffusi dalla televisione, sicché talvolta, soprattutto nelle nuove generazioni, si è generato un acuto senso di smarrimento e disagio. I valori dell’avere, dell’interesse, del profitto, del mercato, della competizione, della concorrenza, del rendimento, del successo, delle apparenze hanno sostituito e soppiantato i valori dell’essere. Il livellamento, l’omogeneizzazione, l’uniformazione culturali indotte da pubblicità e mass media hanno appiattito i linguaggi e i giudizi, hanno dissolto l’individuo nella massa, negando ogni specificità, ogni particolarità, ogni carattere a una popolazione perduta e confusa in una spessa nebbia che neppure l’antico spirito campanilistico riesce più a penetrare. Le Case del Popolo, i circoli Arci, le battagliere sezioni di partito, gli antichi luoghi di aggregazione, dibattito, socializzazione, hanno chiuso i battenti o sono comunque deserti. I Centri Commerciali hanno sostituito le piazze, sicché gli stessi interni legami che garantivano la coesione della Comunità si sono via via allentati. Le relazioni un tempo fitte, intense, magari polemiche si sono diradate, inaridite, hanno lasciato posto alla chiusura, alla solitudine, all’individualismo. La mobilità assicurata dalla motorizzazione di massa ha accresciuto la forza di attrazione delle città, dove si concentrano le scuole, le università, gli uffici, i negozi, e gli antichi borghi rurali tendono a trasformarsi in quartieri dormitorio; sicché, soprattutto nelle nuove generazioni, si è generato un acuto senso di smarrimento e disagio, che talvolta trova sfogo e rifugio nelle droghe, nell’alcool, nell’apatia, nel ripiegamento afasico, in comportamenti devianti. Ma se i comportamenti che sfociano in una condotta deviante ed asociale rappresentano delle eccezioni, più spesso la rinuncia della famiglia ad esercitare la sua autorità e la sua missione educativa finisce per lasciare bambini ed adolescenti in balia di se stessi. Immaturi, irresponsabili, privi di riferimenti e principi educativi forti, essi hanno tendenza a coltivare uno sterile vittimismo, a piangersi addosso, a rifiutarsi di crescere, ad affrontare la loro esistenza con un senso di precarietà e di instabilità, con una fatica di vivere che rende davvero la loro età drammaticamente incerta, com’è stata definita. Tuttavia il malessere ed il disorientamento sono ben più diffusi, non riguardano solo i bambini, i giovani e gli adolescenti, ma l’intera società, come dimostrano l’animosità, la litigiosità e l’aggressività, che si manifestano nei rapporti umani, all’interno delle famiglie, tra parenti e vicini di casa, perfino nella politica, nelle relazioni tra cittadini ed istituzioni pubbliche. La disgregazione della società tradizionale ha prodotto anche la crisi della cultura e della lingua friulana, che ha ormai perso l’antica presa e vitalità, sradicata dal mondo rurale atavico di cui era l’espressione: essa non rappresenta più il veicolo esclusivo della comunicazione, è stata relegata ai margini della vita quotidiana, in un ambito familiare, domestico, privato ed è divenuta appannaggio dei più anziani. L’idioma ladino così si prepara a scomparire, soppiantato dalla capillare penetrazione della lingua nazionale, favorita naturalmente dalla crescita del livello medio di istruzione, dalla diffusione dei grandi mezzi di comunicazione, dalle correnti migratorie che hanno interessato il territorio. Ma a provocare il declino del Friulano è anche una mentalità diffusa, che mentre considera come indispensabile l’apprendimento dell’inglese, giudica la lingua degli avi alla stregua di un retaggio folcloristico da utilizzare al massimo per una battuta di spirito in osteria.
In questo contesto di grandi trasformazioni, di fronte a questa società in evoluzione, ma anche in crisi di identità e in preda allo smarrimento, all’inquietudine, al turbamento, la scuola riscopre il suo ruolo strategico: come centro di alfabetizzazione culturale, di apprendimento disinteressato certo, ma anche come fucina degli uomini e dei cittadini del domani, come luogo di formazione etica, civile, democratica, come baluardo posto a tutela dell’identità comunitaria, della storia e della cultura locale ed insieme come camera di compensazione e mediazione tra la tradizione ed il cambiamento, come veicolo di transizione ed apertura al futuro, come punto di riferimento, come momento di incontro ed aggregazione; come centro di proposta, di dibattito, di progettazione del nuovo.